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INFO SINDACALI 1 |
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SINDACATI HANNO DIRITTO DI ACCEDERE AGLi ATTI DEI CONCORSI SENTENZA Consiglio di Stato 23 febbraio 2012
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Concorsi, atti ai sindacati Autore: Dirigente Provincia capolugo di regione. I sindacati hanno diritto di accedere agli atti dei concorsi. Nota a margiine della sentenza del Consiglio di Stato 23 febbraio 2012 A cura di G. Ferrazzano FONTE: INFOCDS.IT ------------------------------------------------------------ Concorsi, atti ai sindacati Sussiste il diritto dell’organizzazione sindacale ad esercitare il diritto di accesso per la cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l’associazione. Lo ha stabilito il CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – con la sentenza 23 febbraio 2012 n. 1034. Le organizzazioni sindacali sono, infatti, legittimate ad agire a tutela sia degli interessi delle organizzazioni stesse, sia degli interessi giuridicamente rilevati degli appartenenti alla categoria rappresentata, purchè l’accesso non finisca per costituire un preventivo e generalizzato controllo dell’intera attività dell’amministrazione datrice di lavoro, sovrapponendosi e duplicando compiti e funzioni demandati ai soggetti istituzionalmente ed ordinariamente preposti nel settore di impiego alla gestione del rapporto di lavoro. Sussiste il diritto di una organizzazione sindacale di accedere agli atti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato per verificare il rispetto della normativa vigente e degli accordi sindacali sottoscritti dall’Autorità in materia di assunzione del personale con contratto a tempo determinato in assegnazione temporanea proveniente da altre pubbliche amministrazioni (con particolare riferimento agli uffici di assegnazione, al regime giuridico relativo a tali assunzioni, al trattamento economico, ai titoli di studio ed ai requisiti professionali posseduti dagli assunti). In tal caso, infatti, il riferimento agli accordi sindacali è sufficiente ad attribuire "concretezza" alla pretesa azionata dalle organizzazioni sindacali, evitando che l’istanza di accesso si risolva in un controllo generalizzato dell’attività posta in essere dall’Autorità. I giudici hanno poi aggiunto che per controinteressati in materia di accesso devono intendersi coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza. A tal fine occorre fare riferimento al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (codice di protezione dei dati personali), secondo cui nell’ambito della nozione di riservatezza rientrano, non solo i cosiddetti dati "sensibili" o "ultrasensibili", ma anche i « dati personali», tra i quali devono essere ricompresi quelli afferenti alla vita lavorativa.
SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8837 del 2011, proposto dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 contro la SibcCisal - Sindacato Indipendente Banca Centrale Antitrust, Fisac-Cgil dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Antonio Porpora, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, piazza Adriana, n. 20 nei confronti di la signora Chiara Lacava, non costituitasi nel secondo grado del giudizio; per la riforma sentenza 12 ottobre 2011, n. 8014, del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione prima; FATTO e DIRITTO 1.– Il Sindacato indipendente Banca centrale Antitrust – SibcCisal in data 21 aprile 2011 ha presentato all’Autorità garante della concorrenza e del mercato una istanza di accesso finalizzata ad acquisire elementi per verificare il rispetto della normativa vigente e degli accordi sindacali sottoscritti dall’Autorità «in materia di assunzione del personale con contratto a tempo determinato in assegnazione temporanea proveniente da altre pubbliche amministrazioni (con particolare riferimento agli uffici di assegnazione, al regime giuridico relativo a tali assunzioni, al trattamento economico, ai titoli di studio ed ai requisiti professionali posseduti dagli assunti)». In particolare, la richiesta era relativa alle delibere adottate dall’Autorità ed aventi ad oggetto assunzioni: - di «15 unità in servizio in posizione di comando»; - «utilizzando l’istituto del comando per professionalità non rinvenibili in numero sufficiente presso l’Autorità e di 4 unità da assumere con contratto a tempo determinato»; - di «10 unità in servizio in posizione di comando» e «10 unità in servizio con contratto a tempo determinato». La richiesta comprendeva, inoltre, «le delibere adottate dall’Autorità dal 7 marzo 2007» sino al momento della domanda di accesso di «assunzioni di unità con contratto a tempo determinato e di personale in assegnazione temporanea proveniente da altre pubbliche amministrazioni». Infine, si richiedeva per ciascuna delle suindicate unità «documentazione relativa all’amministrazione di provenienza, ai titoli di studio, alle esperienze professionali ed alla qualifica pregressa all’assunzione in Autorità, al trattamento economico precedentemente goduto ed ai relativi accordi con l’amministrazione di provenienza», nonché «all’incarico ricoperto in Autorità, alle mansioni svolte, all’ufficio o direzione di assegnazione, al trattamento economico riconosciuto ed alla relativa base normativa di assunzione». 1.1.– Con il provvedimento impugnato nel giudizio di primo grado, l’Autorità ha affermato che la richiesta di accesso alle delibere «relative alle singole unità lavorative assunte con contratto a tempo determinato, in posizione di comando e in posizione di fuori ruolo non sia rappresentativa di una situazione giuridicamente rilevante, atteso che la stessa attiene a documentazione relativa a singole posizioni lavorative e, in ogni caso, non necessaria al perseguimento delle prerogative» che l’organizzazione sindacale «dichiara di voler perseguire». 1.2.– Con sentenza 12 ottobre 2011, n. 8014 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione prima, ha accolto il ricorso n. 5159 del 2011, ritenendo sussistente la legittimazione ad ottenere la richiesta documentazione. In particolare, il Tar ha ritenuto che tale legittimazione derivasse da una serie di accordi stipulati tra l’Autorità e le organizzazioni sindacali. A tale proposito sono state richiamati nella predetta sentenza: - l’accordo del 7 marzo 2007 che «obbligava l’Autorità ad avvalersi dell’istituto del comando nei limiti previsti dalla legge»; - l’accordo del 16 aprile 2007 (attuativo del primo) che «precisava che detto personale, dipendente di amministrazioni pubbliche anche ad ordinamento autonomo, di organi costituzionali e di altre autorità indipendenti, avrebbe dovuto essere in possesso di esperienza professionale coerente con le attività e/o i settori di destinazione presso AGCM»; - l’accordo del 31 maggio 2010, con cui «le parti hanno convenuto sull’esigenza di promuovere l’avvio di una diversa politica di acquisizione delle risorse umane, veicolata dallo svolgimento di procedure concorsuali, con corrispondente tendenziale contenimento delle forme di lavoro a termine e flessibile». Il Tar conclude sul punto ritenendo che i predetti accordi «recavano tutti l’indicazione dell’obbligatoria attivazione, ad opera della procedente Autorità, di ipotesi di concertazione e/o preventiva informazione» con le organizzazioni sindacali. 2.– L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha proposto appello avverso la predetta sentenza per i motivi indicati nei punti successivi. 2.1.– Si sono costituite nel presente giudizio le organizzazioni sindacali chiedendo il rigetto del ricorso. 3.– L’appello non è fondato. 4.– Innanzitutto, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado «per mancata instaurazione del contraddittorio con i controinteressati». 4.1.– In via preliminare deve rilevarsi, su un piano generale, come per controinteressati in materia di accesso devono intendersi coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza (da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2011, n. 3190). Come è noto, la nozione di diritto alla riservatezza conosce diverse declinazioni interne che ne definiscono il significato e la portata. Ai fini della risoluzione della presente controversia è sufficiente rilevare come, a seguito dell’adozione del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice di protezione dei dati personali), nell’ambito della predetta nozione rientrano, non solo i cosiddetti dati "sensibili" o "ultrasensibili", ma anche i « dati personali», tra i quali devono essere ricompresi quelli afferenti alla vita lavorativa. Per quanto attiene alle modalità di proposizione dell’azione l’art. 116, primo comma, cod. proc. amm., nella versione originaria, prevedeva che il ricorso in materia di accesso dovesse essere notificato, oltre che all’amministrazione, «agli eventuali controinteressati», aggiungendo che si applica l’articolo 49 dello stesso codice. La formulazione della norma non chiariva, però, se il ricorso dovesse essere notificato ad almeno uno dei controinteressati, a pena di inammissibilità, ovvero se ciò fosse non necessario essendo onere del giudice disporre poi l’integrazione del contraddittorio. Il decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195, ha modificato la disposizione sopra riportata prevedendo espressamente, allo scopo di evitare qualunque dubbio in sede applicativa, che il ricorso deve essere notificato «ad almeno un controinteressato». 4.2.– Alla luce di tale disciplina occorre esaminare l’eccezione sollevata dell’appellante con riguardo ad aspetti prospettati in via gradata. In relazione ad un primo profilo si rileva la inammissibilità dell’intero ricorso in quanto lo stesso sarebbe stato notificato alla dott.ssa Chiara Lacava, che non potrebbe essere considerata contro interessata, in quanto la documentazione richiesta riguardava il personale in assegnazione temporanea per il periodo 2010 e 2011, mentre la dipendente a cui è stato notificato il ricorso «risulta essere in servizio presso l’Autorità appellante da epoca antecedente all’indicato biennio». In ogni caso, si osserva, tale notificazione non sarebbe stata regolare: l’agente notificatore avrebbe, infatti, consegnato il plico non a mani proprie ma «presso la sede dell’Autorità» ove la predetta dipendente «presta servizio». In relazione ad un secondo profilo, l’appellante deduce come, anche a volere ritenere che il ricorso sia stato regolarmente notificato ad almeno uno dei controinteressati, il Tar avrebbe omesso di ordinare l’integrazione > Note: sussiste il diritto dell’organizzazione sindacale ad esercitare il diritto di accesso per la cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l’associazione. Links: del contraddittorio nei confronti degli altri dipendenti coinvolti con conseguente nullità della sentenza. Ritiene la Sezione che tali deduzioni non siano fondate. In primo luogo, deve rilevarsi come non sia corretto il rilievo secondo cui la dott.ssa Lacava non sarebbe controinteressata, sia perché la domanda di accesso ha riguardato, come già sottolineato, anche dati anteriori all’anno 2010, sia perché la difesa dell’Autorità si è limitata a rilevare genericamente che la dipendente presta servizio da «epoca precedente». Per quanto attiene, poi, alla regolarità della notificazione nei suoi confronti, l’art. 139, secondo comma, c.p.c., applicabile anche al giudizio amministrativo, stabilisce che, quando non è possibile effettuare la notifica in mani proprie ovvero nel Comune di residenza, «l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto» ad una persona «addetta» all’«ufficio o all’azienda». Affinché tale notificazione sia regolare è sufficiente che «esista una relazione tra consegnatario e destinatario idonea a far presumere che il primo porti a conoscenza del secondo l’atto ricevuto» (Cass., sez. I, 17 dicembre 2007, n. 26572). La prova della mancanza di tale rapporto spetta alla parte che ne eccepisce la irregolarità: nella specie l’appellante si è limitato a rilevare come il plico non sia stata «consegnato dall’agente notificatore postale a mani dell’interessata». La deduzione è generica e in quanto tale non sufficiente a ritenere violate le regole che presiedono al procedimento di notificazione. Si tenga conto, inoltre, che nella specie le parti resistenti nel presente giudizio hanno rilevato come la dott.ssa La Cava abbia «ritirato personalmente il ricorso presso l’ufficio dove era stato depositato il plico (…)». Chiarito che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado è stato regolarmente notificato ad uno dei controinterassati, occorre adesso verificare se il giudice di primo grado avesse o meno l’onere di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri controinteressati. L’art. 49 cod. proc. amm. prevede, su un piano generale, che il giudice può non ordinare l’integrazione del contraddittorio «nel caso in cui il ricorso sia manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato». La ratio perseguita dalla norma è quella, non sussistendo il rischio di pregiudizio del diritto di difesa, di economia processuale. Nel caso in esame, il giudice di primo grado, pur avendo accolto il ricorso, ha puntualizzato che «la dimostrata presenza di singole posizioni soggettive per le quali possa (in ragione del concreto contenuto degli atti offerti in conoscenza) fondatamente predicarsi la presenza di dati sensibili e/o altrimenti preclusivi alla divulgabilità, ben potrà trovare tutela in idonee forme di "opacizzazione" ovvero di "oscuramento" di elementi comunque suscettibili di identificazione soggettiva». La valorizzazione della ragione giustificativa del citato art. 49 porta a ritenere che lo stesso sia applicabile anche nel caso in cui le concrete modalità di accoglimento del ricorso in materia di accesso sono tali da escludere la possibilità di pregiudizio della posizione dei controinteressati. In definitiva, se nel rito in materia di accesso i controinteressati sono coloro che hanno diritto alla tutela della riservatezza e se, nella specie, tale tutela deve essere assicurata nei confronti dei titolari dei dati sensibili e personali, le disposizioni modali predefinite nella sentenza di primo grado fanno sì che tali soggetti sono stati adeguatamente protetti senza necessità che il Tar disponesse l’integrazione del contraddittorio. 5.– Le appellanti con altro motivo sostengono che le organizzazioni sindacali sarebbero prive di legittimazione alla luce di una attenta analisi del contenuto degli accordi richiamati nella sentenza di primo grado. In particolare, si assume che l’accordo del 7 marzo 2007 si occupa di «alcuni aspetti dell’ordinamento delle carriere e del trattamento economico del personale dipendente», stabilendo che «i criteri generali relativi alle professionalità e alle modalità di individuazione dei livelli retributivi per il personale comandato saranno concordati con le organizzazioni sindacali»; essendo stato raggiunto l’accordo il 16 aprile 2007, «tale obbligo risulta definitivamente assolto». Per quanto attiene all’accordo del 16 aprile 2007 si assume come nessuna clausola di esso «si occupi di relazioni sindacali». Allo stesso modo non rilevante, per il suo contenuto, che viene riportato, sarebbe l’accordo del 31 maggio 2010. Con altro motivo, connesso a quello appena esposto, si deduce come non «si riesce ad ipotizzare un reale ed effettivo interesse dei dipendenti a conoscere atti che riguardino le assunzioni con contratti a termine o con comando di altri dipendenti». I motivi, così riassunti, non sono fondati. L’art. 22 prevede che il diritto di accesso deve essere riconosciuto a «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». In primo luogo, deve rilevarsi come la giurisprudenza di questa Sezione abbia più volte avuto modo di affermare che «sussiste il diritto dell’organizzazione sindacale ad esercitare il diritto di accesso per la cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l’associazione» (sentenza 11 gennaio 2010, n. 24). Le organizzazioni sindacali sono, pertanto, legittimate ad agire a tutela sia degli interessi delle organizzazioni stesse, sia degli interessi giuridicamente rilevati degli appartenenti alla categoria rappresentata. Ne consegue che, nella specie, è sufficiente rilevare la collocazione istituzionale, in attuazione della normativa di settore, dei sindacati resistenti nell’ambito dell’organizzazione datoriale per ritenere presente questo primo presupposto. In secondo luogo, la stessa giurisprudenza, sopra richiamata, ha puntualizzato come la legittimazione non possa tuttavia «tradursi in iniziative di preventivo e generalizzato controllo dell’intera attività dell’amministrazione datrice di lavoro, sovrapponendosi e duplicando compiti e funzioni demandati ai soggetti istituzionalmente ed ordinariamente preposti nel settore di impiego alla gestione del rapporto di lavoro». Nel caso in esame anche tale requisito sussiste e deriva, come correttamente messo in rilievo dal Tar, dal contenuto degli accordi sopra riportati. In particolare, assume speciale rilevanza l’accordo del 31 maggio 2007, con il quale le parti deducono come negli ultimi anni vi sia stata la «sostanziale interruzione dell’attività di reclutamento e l’ampio ricorso a forme di lavoro flessibili e temporanee» e che è necessario, si legge, ricercare soluzioni di sistema volte tra l’altro a ridurre progressivamente l’utilizzo di forme di lavoro a termine e flessibile e di coprire posti di ruolo «attraverso procedure concorsuali». L’oggetto degli accordi è, dunque, sufficiente ad attribuire "concretezza" alla pretesa azionata dalle organizzazioni sindacali evitando che l’istanza di accesso si risolva in un controllo generalizzato dell’attività posta in essere dall’Autorità. Per quanto attiene, infine, alla asserita mancanza di un interesse reale ed effettivo dei dipendenti in relazione all’oggetto dell’istanza di accesso, è sufficiente richiamare il costante orientamento di questo Consiglio secondo cui il «collegamento» tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto e la documentazione richiesta deve essere, «genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse» (Cons. Stato, sez. III, 13 gennaio 2012, n. 116) 6.– Con l’ultimo motivo di appello si assume come, «anche a volere ritenere che le organizzazioni sindacali intendano tutelare l’interesse dei dipendenti di ruolo in posizione meno elevata nella carriera volto ad indurre l’amministrazione a bandire i concorsi per i posti ricoperti con comando o con assunzioni non di ruolo temporanee, non v’è dubbio che l’interesse che in tale modo si vorrebbe tutelare da parte delle oo.ss. non sia omogeneo ed indivisibile per tutti gli associati e, che, anzi, ricorra un tipico caso di conflitto di interessi tra lavoratori». Il motivo non è fondato. L’Adunanza plenaria di questo Consiglio, con la sentenza 3 giugno 2011, n. 10, ha già avuto modo di affermare, con riferimento ad una fattispecie diversa ma con argomentazioni estensibili a tutte le controversie in cui ad agire in giudizio siano enti esponenziali di interessi collettivi, che per valutare tale conflitto occorre avere riguardo a quello che viene definito «interesse istituzionalizzato». Non è, dunque, sufficiente che l’azione proposta possa, in concreto, ledere la posizione di taluni dei soggetti appartenenti alla categoria purché l’ente persegua l’interesse che ha costituito la ragione della creazione dell’ente stesso. Nel caso di specie è indubbio che l’interesse che viene in rilievo è quello al rispetto delle normative di disciplina delle modalità di instaurazione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che non sussiste la situazione conflittuale prospettata. 7.– Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in appello deve essere respinto. Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8837 del 2011, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante Autorità garante della concorrenza e del mercato al pagamento di euro 2.000,00 (duemila), oltre accessori di legge, in favore delle parti resistenti per le spese e le competenze del giudizio di appello. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati: Luigi Maruotti, Presidente Maurizio Meschino, Consigliere Claudio Contessa, Consigliere Gabriella De Michele, Consigliere Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 23/02/2012
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