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Corriere della Sera 12/5/2005Blitz contro il racket dei clandest Sequestrati 40 mila permessi falsi



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Immigrati di serie A e quelli di serie B. Extracomunitari regolarizzati, magari dopo otto mesi d'attesa burocratica e decine di migliaia di clandestini che possono esibire tranquillamente il permesso di soggiorno della durata di tre anni. Un documento falso, ma fatto così bene da sembrare vero. Da mostrare senza preoccupazione. Non è stato così per un disperato cingalese, incappato nell'occhio attento di un investigatore del pronto impiego della Guardia di Finanza che, partendo proprio da quel dubbio, è riuscito, con alcuni colleghi della sua sezione, a smantellare un'organizzazione che era pronta a smerciare decina di migliaia di esemplari. A casa di un pregiudicato palermitano di 43 anni, domiciliato in uno stabile di via Bonfadini, dietro viale Ungheria, alla periferia sud-est di Milano, sono stati trovati, oltre a un piccolo quantitativo di cocaina, 10 scatoloni pieni, quasi 40 mila permessi di soggiorno e, sempre secondo i finanzieri, almeno altrettanti erano già stati venduti: 1.000 euro ai grossisti e 1.500 euro al dettaglio. I documenti sequestrati erano stati realizzati con sofisticate tecnologie, tali da rendere i documenti identici agli originali. L'uomo è stato denunciato per ricettazione, falsità materiale, violazione della normativa sull'immigrazione, e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Adesso rischia da due a otto anni di carcere. L'operazione degli investigatori, denominata «Pixy», inizia quando il cingalese si reca all'ortomercato a comprare due teste d'aglio da rivendere poi, assieme a limoni e mazzetti di prezzemolo, sul suo banchetto a fianco dei mercatini rionali. Qui, incappa in un controllo dei baschi verdi e mostra il suo permesso: è perfetto ma è compilato male. Invitato in caserma, lo straniero collabora e confessa di averlo comprato per 1.500 euro, attraverso un passaparola tra disperati di diverse etnie che conduce i militari in un garage di Milano dove diversi «cavalli» ritirano la merce da recapitare ai clienti: albanesi, uomini e donne dell'Est Europa, nordafricani, asiatici. E, di livello in livello, si arriva a un asiatico che, seguito, porta a un grossista e poi ancora a una vera riunione di grossisti, stranieri di diverse nazionalità e italiani, e per ultimo alla casa di via Bonfadini dove l'indagato, pur essendo nullafacente, vive alla grande e mantiene la famiglia, moglie e due figli minori. E' lui l'artista del falso che manipola con maestria stemmi, timbri, stampa, colore. E la carta che utilizza è una filigrana speciale, difficilmente reperibile in commercio. L'unico punto debole, infatti, non era nel documento che veniva venduto in bianco, ma nella scrittura di alcuni extracomunitari che dovevano riempire i campi, come quella del cingalese da cui si è partiti. Un modo definito dagli stessi finanzieri «un po' sciatto». Sull'episodio andato a buon fine, l'assessore alla Sicurezza Guido Manca ha ricordato che «siamo stati tra i primi a denunciare il problema dei clandestini e la minaccia che essi rappresentano per la sicurezza dei cittadini. Questa operazione ha dimostrato che pochi delinquenti italiani possono lucrare su certe situazioni e mettere in pericolo l'ordine pubblico».

Michele Focarete





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